lunedì 22 febbraio 2010
Libera scienza Libero stato
Varrebbe davvero la pena di incidere questo motto su lastre d'acciaio, da collocare nelle piazze d'Italia. Libera scienza in libero Stato, infatti, vuol dire che la ricerca fondamentale, senza la quale uno Stato libero nulla fa di rilevante, è per definizione, ricerca «libera», ossia guidata dalla curiosità e dal desiderio di conoscenza, e non guidata dall?esterno. Varrebbe anche la pena di porre il motto alla base di un nuovo Concordato, da stipulare tra il Parlamento e la comunità scientifica nazionale, decidendo di aderire senza riserve al nuovo Consiglio europeo della ricerca. Senza riserve, soprattutto per quanto riguarda il fatto che il Consiglio attribuisce ai soli scienziati la responsabilità e la valutazione dei singoli programmi di studio. Una clausola preziosa, questa, per entrare in quelle moderne forme di società in cui la ricchezza della nazione e il benessere dei cittadini poggiano sulla crescita delle conoscenze. Con una raccomandazione, però: è vietato cadere dalle nuvole. Cade dalle nuvole, infatti, chi oggi si dice sorpreso quando legge che il 66 per cento della nostra popolazione non possiede le nozioni che sono necessarie per decifrare un messaggio scritto (per esempio l?editoriale di un quotidiano) e per capire un calcolo dove figurano un paio di frazioni, o quando scopre che il 25 per cento dei giovani che finiscono le scuole medie ha problemi nell?uso corretto del congiuntivo. È ben vero che cadendo metaforicamente dalle nuvole non ci si fa troppo male. Ma è anche vero che si tratta, in questa situazione, di una caduta finta. Finta perché da alcuni decenni è ormai noto che produciamo un numero di diplomati, laureati e ricercatori pericolosamente inferiore alle medie europee, che quasi nulla è stato fatto per quell?educazione permanente della popolazione senza la quale l?intero apparato industriale è a rischio, che una percentuale troppo bassa di persone legge libri e quotidiani. L?ipotesi di un Concordato, allora, potrebbe essere valida. Se non altro in quanto lo stato reale dell?ambiente in cui viviamo va affrontato subito e con scelte coraggiose. Per evitare il rischio di un collasso ingovernabile abbiamo a disposizione, infatti, una trentina d?anni: ovvero, una manciata di settimane. Lo statuto di libertà, quindi, implica che non sia compito del Parlamento legiferare sulle leggi della dinamica o sulla liceità degli studi in genetica o in storia della letteratura contemporanea, stabilire con decreti che è possibile l?innovazione tecnologica senza irrobustire la ricerca di base, ancorare i finanziamenti a vincoli ideologici assai diffusi, come quelli per cui la scienza sarebbe assimilabile alla produzione di merci da valutare con il metro del profitto a breve termine, oppure quelli secondo cui la ricerca va controllata dall?esterno perché costituirebbe una potenziale minaccia per la dignità dell?uomo, oppure quegli altri che vedono il sapere e la sua intrinseca meritocrazia come asservimenti ai bisogni delle multinazionali. È al riparo da vincoli del genere che va collocata la sesta edizione del premio «Le Scienze», costituito da medaglie gentilmente conferite dal Presidente della Repubblica e da medaglie della rivista. Nell?anno internazionale della fisica, la premiazione, come si vede a pagina 12, riguarda tre giovani esponenti di questa disciplina. Ci conforta, in questa iniziativa, l?attenzione del Capo dello Stato. Ma anche ci aiuta la crescente attenzione degli italiani nei confronti della conoscenza. Il successo di iniziative nazionali come il Festival della Scienza di Genova, svoltosi all?inizio di novembre, segnala, infatti, lo sviluppo di forme innovative di consenso popolare. Un consenso che potrebbe influire sull?elaborazione di programmi politici capaci di realizzare, finalmente, un punto di svolta per il nostro paese.
Libera scienza Libero stato Margherita Hack
Non solo siamo fra gli ultimi in Europa nelle materie scientifiche, ma quando riusciamo a formare un vero genio in genere gli mettiamo in mano una valigia e lo mandiamo a far del bene all'estero. Perché in Italia la ricerca proprio non vuole funzionare? Per due motivi, entrambi ben radicati nella storia e nel costume nazionali. Da un lato scontiamo una cronica quanto inspiegabile paura della scienza e delle sue potenzialità, e dal caso Galileo alla battaglia contro l'analisi preimpianto degli embrioni molta responsabilità spetta alla Chiesa e al suo vizio di dettare legge in un Paese che pure si professa laico. Dall'altro lato ci si mette lo Stato che da destra a sinistra taglia i fondi all'università, spreca le scarse risorse, ingarbuglia le carriere accademiche senza peraltro riuscire a sottrarle ai "baroni". Così, mentre da ogni parte si decanta l'importanza dell'innovazione per la crescita del Paese, nei fatti chi dovrebbe produrla viene ostacolato con ogni mezzo: concorsi macchinosi, precariato a vita, stipendi da fame e, perché no, obiezione di coscienza. Storie di ordinaria contraddizione in un sistema che cola a picco. Margherita Hack dedica questo libro all'analisi delle condizioni di una ricerca che non ha più né Stato né Chiesa su cui contare. Passa al vaglio le riforme che si sono succedute sotto quattro governi, denuncia gli errori ricorrenti e le troppe incongruenze, mette in luce gli esempi positivi incontrati nel corso della sua carriera e infine propone qualche idea.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento